VISITA CHIESA S. STEFANO DEL CACCO
di Roberto Alessandrini
Dal fortunato incontro tra il nostro Socio Onorario Arch. Luisa Chiumenti ed il Dott. Cristiano Rotellini, appassionato storico dell’arte che anima “Roma Insueta”, suo blog di storia, arte e pensiero ed organizza delle selezionate visite nelle chiese meno conosciute e di più difficile accesso di Roma, è nato un rapporto di amicizia in virtù del quale i Soci del Palatinum sono accolti nelle sue visite, previa prenotazione. Una visita al mese viene inserita nel programma mensile del Club, mentre eventuali altre vengono comunque segnalate con apposita e-mail inviata a tutti da parte del Presidente. Il Dott. Cristiano Rotellini è uno studioso estremamente competente e generoso, il cui unico scopo è quello di condividere la propria passione con persone attente e curiose con cui anche confrontarsi. Il contributo richiesto per le visite è di € 5 e va semplicemente a compensare il tempo e i costi affrontati per curare i contatti, che a volte richiedono un grande impegno, per poter avere accesso anche ai luoghi più particolari e a volte impensabili, come nessun altro riesce a fare; a questo generalmente si aggiunge un’offerta alla chiesa, alcune volte libera, altre espressamente richiesta per restauri od opere di carità.
Questa chiesa, sita nell’omonima via, viene difficilmente notata e rimane pressoché sempre chiusa, mentre riveste un’importanza che non può sfuggire a chi ha avuto la fortuna di averne effettuato la visita. Infatti essa insiste precisamente sul Serapeo dell’antico Iseo Campense, tempio egizio eretto nel secolo I a.C. e poi ristrutturato dagli imperatori Caligola, Domiziano, Adriano e Settimio Severo; da esso provengono i piccoli obelischi del Pantheon, della Minerva e di Viale Luigi Einaudi a Roma, quello dei Giardini di Boboli a Firenze e quello di Piazza Rinascimento ad Urbino; così l’enorme Pigna di bronzo che diede origine al nome del Rione e che già dal Medioevo fu trasferita in Vaticano, dove ora è posiziona nell’omonimo “Cortile della Pigna”; il busto della statua di Iside presso Palazzo Venezia, conosciuta come Madama Lucrezia, la statua parlante; il piede di marmo che oggi dà nome alla via, forse appartenente alla detta statua di Iside; i due leoni di basalto posti da Giacomo Della Porta alla base della Cordonata del Campidoglio; statue di personificazioni di fiumi e animali custodite in vari musei; tra queste ve ne era una frammentaria, presso l’ingresso della chiesa ed ora custodita presso il Museo Gregoriano-Egizio in Vaticano, con la testa del dio Thot in forma di scimmia del genere “macaco”, da cui la deformazione cacofonica del nome attuata dagli abitanti del rione nel secolo XV.
La chiesa fu edificata nel secolo IX da Pasquale I e prese nel secolo XII il nome di S. Stefano de Pinea per la pigna in marmo posta sopra al coevo campanile, che a sua volta si richiama alla pigna ritrovata negli scavi dell’Iseo. Nel 1563 Papa Pio IV la concesse alla Congregazione dei Padri Silvestrini, di cui è tuttora la Curia Generalizia. L’interno è a tre navate e su quella destra si trova l’affresco, vero gioiello della chiesa, con la “Pietà” di Perin Del Vaga, allievo prediletto di Raffaello; altri dipinti sono le tele di Cesare Nebbia, Giovanni Baglione e Cristoforo Casolani, allievo del Pomarancio; notevoli sono anche il Coro ligneo del 1668, il crocifisso del secolo XVII, i paliotti d’altare in scagliola policroma e l’organo Bonifazi del 1642 nella controfacciata. Grazie alle relazioni instaurate da Rotellini, siamo stati ammessi nell’attiguo convento dei Silvestrini, dove siamo saliti a vedere, da una terrazza interna, il bel campanile del secolo XII, la cui vista all’esterno è stata obliterata dalle costruzioni successive e quindi nella Sacrestia, contenente gli interessanti dipinti di Giovanni Odazzi e Luigi Garzi e, nell’attiguo spazio, di Sebastiano Conca.
Altra particolarità della chiesa è quella di conservare la sepoltura del famoso pittore Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, la cui notizia deriva da una citazione nelle “Vite” di Giovanni Baglione e resa certa da un documento conservato proprio in S. Stefano; tuttavia la sua collocazione precisa si è persa nel tempo a motivo dei numerosi rifacimenti barocchi e della ripavimentazione con marmi provenienti da S. Paolo fuori le Mura, distrutta da un incendio nel 1823.